martedì 15 dicembre 2020
«Rimpatri forzati in Eritrea». Ancora tensione nel Tigrai, dove la città di Tembien è stata bombardata dalle truppe federali.
Membri delle milizie della regione di Amhara si preparano a combattere contro il Fronte di liberazione del popolo del Tigrai, a Sanja

Membri delle milizie della regione di Amhara si preparano a combattere contro il Fronte di liberazione del popolo del Tigrai, a Sanja - Reuters

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Tornano le comunicazioni telefoniche con il capoluogo Macallè, ma nel Tigrai buona parte del territorio è isolato ormai da più di 40 giorni. Rimane alta la preoccupazione per la sorte dei 900mila sfollati e soprattutto dei 96mila profughi eritrei, molti dei quali fuggiti e riportati indietro a forza dall’esercito federale etiopico.

E preoccupa l’assenza di notizie sulle condizioni del vescovo cattolico Tesfaselassie Medhin e di tutti i sacerdoti, religiosi e religiose dell’Eparchia di Adigrat. Lo riferiscono all’Agenzia Fides fonti locali, che non nascondono la crescente preoccupazione dovuta al perdurante silenzio sulla sorte di «Abune» Tesfaselassie, del clero e dei consacrati, circa un centinaio, appartenenti a diversi ordini maschili e femminili, che animano la vita ecclesiale nella diocesi cattolica di rito orientale che comprende l’intero Tigray. L’unica comunicazione recente attribuibile al vescovo è la lettera inviata ad alcuni collaboratori il 23 novembre scorso. Il prelato faceva riferimento alla difficile situazione umanitaria della regione settentrionale, dove dal 4 novembre mancano medicinali, generi alimentari, carburante e generi di prima necessità.

La Conferenza episcopale etiopica ha potuto inve- ce contattare i religiosi di Macallè, tutti in buone condizioni. Ancora bloccati, nonostante le pressioni internazionali, gli operatori umanitari ai confini del Tigrai mentre sono arrivati nel capoluogo i primi camion carichi di cibo. Anche Caritas internationalis, insieme alla Conferenza episcopale etiope e ad altre congregazioni, è in attesa e sta predisponendo aiuti. È confermato invece il ritorno forzato dei profughi eritrei fuggiti dai campi di Adi Arish e Mai Aini, presi mentre si stavano recando a Gondar dall’esercito etiopico e fatti salire a bordo di una decina di autobus. Temono di rientrare nei campi nella zona di Scire che potrebbero essere ora sotto il controllo dell’esercito eritreo, alleato delle forze etiopi. Rischiano di venire rimpatriati come pare sia avvenuto ai rifugiati eritrei a Shimelba.

Una ulteriore conferma della presenza delle truppe eritree nei campi profughi arriva dai rifugiati eritrei fuggiti in Sudan, che hanno raccontato di sparatorie sui civili nelle aree sotto controllo Onu. Intanto nei campi profughi in Sudan orientale dal 10 di novembre sono arrivate più di 50mila persone e la situazione è critica. Si combatte infine nel Tigrai ad Ala’isa e Hagere Selam e i bombardamenti a tappeto dell’esercito federale sulla città di Tembien, dove vive il presidente tigrino e leader del Tplf Debretsion Gebremichael.

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