ESPoR sui tavoli degli attori veneti: una scommessa in tempo di pandemia

da | Dic 17, 2020 | Progetto Espor

L’accesso al mercato del lavoro dei migranti è un tassello fondamentale del loro percorso di inclusione e rappresenta un risultato importante per le comunità che li accolgono. Purtroppo, gli ostacoli legati alle procedure amministrative delle assunzioni, la barriera linguistica, i ritardi nei rinnovi dei permessi di soggiorno, la difficoltà di affittare una casa o di acquisire un mezzo di trasporto scoraggiano i potenziali datori di lavoro e riducono le possibilità d’impiego.

Inoltre, la rapidità dei cambiamenti, le crisi e le incertezze intervenute con la pandemia da Covid 19 pongono in essere sfide, cambiamenti e adattamenti non solo al modo di lavorare, ma anche di concepire la vita di tutta l’umanità. Questo nuovo contesto, poco favorevole all’accoglienza e alla solidarietà, ci fa però sentire sulla stessa barca e ci “costringe” a remare insieme nella stessa direzione. Così i tre tavoli regionali realizzati durante il percorso ESPoR sono diventati un’opportunità di condivisione, uno strumento utile a intercettare i nuovi trend e individuare gli elementi necessari per la gestione della domanda di lavoro straniera in Veneto. 

Con l’obiettivo di costruire  e, possibilmente, mettere a sistema un modello territoriale che faciliti l’inserimento di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale presenti nelle strutture di accoglienza della regione, l’associazione A.Cross, partner del progetto ESPoR per il Veneto, ha riunito attori chiave dell’accoglienza, del mondo del lavoro e delle politiche regionali. La rappresentanza è stata variegata sia dal punto di vista delle funzioni che della geografia delle provincie. I rappresentanti di CAS e di SAI (ex SIPROIMI ex SPRAR) hanno contribuito ad approfondire le criticità e condividere buone pratiche sia per l’inserimento degli stranieri che per la formazione degli operatori. La presenza di organismi di formazione e servizi al lavoro, di associazioni datoriali e sindacali hanno conferito autorevolezza al percorso ed aumentato le probabilità di diffusione del modello. Infine, il coinvolgimento di esponenti della  Direzione Lavoro della Regione, responsabile della programmazione e delle politiche del lavoro e di Veneto Lavoro, ente strumentale con funzioni prevalentemente tecniche ha favorito la conoscenza dell’iniziativa, la ricerca di fondi esterni al progetto e le probabilità di attivare percorsi SIL (Supporto Integrazione Lavoro) vincenti.

Più fragili e disorientati, obbligati alla distanza fisica, allo smart working e alla comunicazione online, tutti i partecipanti hanno lavorato con passione sulle questioni salienti per traghettare i migranti verso un’occupazione sostenibile.   

Innanzitutto i numeri di una realtà che non riesce ancora a valorizzare un potenziale umano ed economico importante per il futuro. Se da un lato la migrazione contribuisce a prevenire la contrazione della popolazione europea ed è cruciale per sostenere il nostro sistema pensionistico, dall’altra, i migranti sono esposti a maggior povertà e esclusione sociale rispetto ai nativi.  Nel 2019, il tasso di occupazione per le persone nate extra UE  era inferiore di 7 punti percentuali rispetto agli autoctoni. Il bisogno di guadagnare rapidamente e di rendersi autonomi è evidente… anche a costo di essere sottopagati e non valorizzati; l’equilibrio tra l’accelerare l’autonomia economica e il rendere più efficace e soddisfacente il processo di inserimento lavorativo dei migranti è però necessario. 

Tobie Nathan, etnopsicanalista francese,  diceva che la migrazione (e quindi l’incontro con  l’altro) è sempre un evento traumatico, che costringe a uscire dalle consuetudini, a sperimentare il nuovo e  re-inventare il quotidiano. Nel nostro caso a ripensare anche i protocolli e i modelli lavorativi. Il “meticciato” che ne deriva diventa quindi un’occasione imperdibile di apertura alla diversità, ma anche un dovere ad attrezzarsi alla mediazione culturale per capire le trasformazioni, porre relazioni generatrici e non agire sempre nell’emergenza.  La mediazione culturale è “terra di confine”, dove  far emergere narrazioni alternative delle esperienze e delle resilienze dei lavoratori stranieri. Alcuni spunti interessanti sulla riorganizzazione del lavoro, per esempio dei turni in funzione della disponibilità dei trasporti, della presenza di mamme, ecc. Più aperto il dibattito sul profilo e le competenze del mediatore culturale: italiano o straniero?  Accademico o pratico dell’accoglienza? Tutto-fare  o specializzato? In quale rapporto con l’operatore del mercato del lavoro? Creazione e iscrizione a un albo professionale regionale?

Oggi, i disoccupati sono almeno 2,5 milioni, cui se ne aggiungeranno almeno 300 mila con la caduta del blocco dei licenziamenti a marzo 2021. Dall’altra parte i dati di UNIONCAMERE: 120 mila aziende stanno cercando tra dicembre e febbraio 729 mila posti di lavoro, di cui 15.200 personale non qualificato nei servizi di pulizia. Dove s’inceppa il matching tra domanda e offerta? L’esperienza mostra interventi spesso scoordinati, portali di regioni e province non condivisi,  personale dei centri per l’impiego non adeguatamente formato, programmi di formazione sulla base dell’offerta delle scuole più che delle richieste del mercato, corsi generici con attestati  di frequenza più che certificati delle competenze, organizzazioni dipendenti dai “bandi”  e…le azioni di sostenibilità vanificate. Per questo il 4° tavolo della Regione Veneto, in programma per il prossimo febbraio, intende approfondire i percorsi per costruire una filiera virtuosa dell’inserimento socio-economico dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.

Ai tavoli abbiamo visto fili diversi, che seguono  strade diverse, salgono e scendono, prendono a destra o a sinistra… Ma proprio come la trama e l’ordito per la fattura di un tessuto, questi fili così diversi finiranno per intrecciarsi e annodarsi e creare un solo disegno. Singolarmente non hanno significato, ma insieme danno senso e bellezza al disegno generale. Anche per rendere sostenibile la storia dei richiedenti e rifugiati che stanno in Italia,  ci vuole l’impegno ad intrecciarsi e annodarsi con tutti  gli altri fili, perché, come recita un proverbio africano, “se vuoi arrivare primo, corri da solo; se vuoi arrivare lontano, cammina insieme agli altri”.

Anna Rosa Fioretta

Responsabile di progetto per A.Cross