L’inclusione socioeconomica delle donne migranti: iniziative possibili, strumenti da adottare e buone prassi (IV tavolo Lazio)

da | Nov 24, 2021 | Progetto Espor

A volte è difficile fare la scelta giusta perché

o sei roso dai morsi della coscienza

o da quelli della fame

Totò

 

Lo scorso 11 novembre si è tenuto, a Roma, il IV e ultimo tavolo ESPoR (European Skills Portfolio for Refugees) regionale del Lazio. L’incontro è stato introdotto da Massimo Pierini, responsabile Area Migrazione della Fondazione ENGIM, che, dopo aver brevemente ripercorso l’esperienza ESPoR, ha sottolineato l’importanza del confronto e del contributo degli stakeholders nel processo di costruzione della rete e sostenibilità delle azioni volte all’orientamento e all’inclusione socio-lavorativa dei migranti in generale e dei rifugiati e richiedenti asilo in particolare.

 

Sono intervenuti:

Francesca Del Bello – Presidente Municipio II, Roma Capitale

Romina Papetti – Responsabile Ufficio Promozione e Monitoraggio degli interventi Roma Capitale

Amalia Ciorra – Progetto PUOI, Area servizi per le Politiche di Integrazione, Anpal Servizi SpA

Tania Masuri – Programma Integra

Maria Sarubbo – Progetto PUOI, Area servizi per le Politiche di Integrazione, Anpal Servizi SpA

Amalia Tata – Responsabile area Immigrazione e Tratta – Cooperativa Sociale ONLUS “Il Cammino”

Marika Polidori – Direttore sede operativa CFP ENGIM S. Paolo, Fondazione ENGIM

Paolo Failla – Progettista CFP ENGIM San Paolo, Fondazione ENGIM

Diego Boerchi – Università Cattolica del Sacro Cuore, Coordinatore generale progetto ESPoR

Daniele Mulas – Operatore Fondazione ENGIM

  • Moderatore: Massimo Pierini, responsabile Area Migrazione della Fondazione ENGIM

 

La riflessione emersa dal tavolo ha acceso i suoi riflettori sul tema dell’Inclusione socio-lavorativa delle donne migranti. Nella regione Lazio, la sperimentazione del Progetto ESPoR ha coinvolto 28 donne, la maggior parte delle quali di origine nigeriana.

Il ruolo che le donne ricoprono all’interno della famiglia, in special modo le donne migranti, è quello di vero e proprio perno nella costruzione del futuro dei loro figli. Le opportunità che le donne incontrano nel loro percorso di vita si traducono a loro volta in opportunità per i loro figli, anche per quanto riguarda i loro percorsi formativi e lavorativi.

Sono state coinvolte nella discussione varie realtà territoriali: dalle cooperative che lavorano con donne vittime di tratta a rappresentanti delle istituzioni comunali.

Durante l’incontro è stata rimarcata più volte l’importanza di adottare un’ottica di genere in tutti i progetti di inclusione socio-lavorativa, come raccomandato dal Parlamento Europeo nel luglio del 2020.

Le donne migranti sono soggette a molte potenziali situazioni di vulnerabilità, basti solo pensare alla gestione del carico familiare che ricade interamente su di loro anche quando non sono genitrici single.

Tutto questo spesso rappresenta una forte limitazione alla loro partecipazione ai percorsi di inclusione socio-lavorativa; l’impossibilità di accedere ad un welfare adeguato e la mancanza di autonomia, costituiscono un faticoso ostacolo all’emancipazione e all’autopromozione. Se è vero che le donne possono aver bisogno di acquisire nuove competenze spendibili nel nostro mercato del lavoro, anche in funzione del loro ruolo di career guidance nei confronti dei figli, tale processo resta inattuabile quando rimangono relegate a ruoli di scarsa specializzazione. È fondamentale fornire gli strumenti per un accesso reale alle opportunità di formazione e di lavoro.

 

Non farti cadere le braccia
Corri forte, va più forte che puoi
Non devi voltare la faccia
Non arrenderti né ora né mai

Edoardo Bennato

 

Come ci ha ricordato Diego Boerchi, coordinatore generale del progetto ESPoR, la sua importanza si incentra sullo sviluppo delle competenze per la gestione della propria carriera, obiettivo sul quale non esistono progetti così mirati nel panorama italiano ed europeo. Riguardo al focus del Tavolo, ha confermato le potenziali difficoltà che possono incontrare le donne migranti nei percorsi di orientamento e bilancio di competenze (“ipoteche” culturali, conciliazione dei tempi di vita e lavoro, barriera linguistica), evidenziando tuttavia il loro ruolo strategico di career guidance intergenerazionali che queste possono avere nei confronti dei propri figli.

 

Massimo Pierini, ha illustrato brevemente le Linee Guide regionali (in fase di elaborazione) che hanno raccolto i contributi e le riflessioni emerse durante i Tavoli finora realizzati.

Sono stati passati in rassegna:

  • i suggerimenti per aumentare l’efficacia dei percorsi di orientamento e bilancio di competenze rivolti a rifugiati e richiedenti asilo:
  • Dare più spazio al processo narrativo dei beneficiari per favorire una rielaborazione “resiliente” del proprio vissuto;
  • Potenziare la formazione degli operatori per le attività di counseling;
  • Coinvolgere figure professionali specializzate (mediatore culturale, psicologo, etnopsichiatra) per supportare i beneficiari nei percorsi di autoconsapevolezza.
  • le criticità “di contesto” riscontrate:
  • l’assenza di iter chiari ed accessibili per il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze formali, informali e non formali;
  • lo scarso aggiornamento contenutistico e pratico delle qualifiche professionali;
  • l’insufficiente dialogo tra centri di formazione professionale e aziende.

 

É stata ribadita l’utilità delle “microcredenziali” come strumento di valutazione dell’apprendimento acquisito a seguito di brevi esperienze lavorative o formative.

Una delle variabili chiave per l’avvio di processi virtuosi nell’ambito dell’inserimento lavorativo rimane la sensibilizzazione delle aziende sul tema dell’inclusione socioeconomica dei migranti; la loro valorizzazione “sociale” ed “economica” favorirebbe un processo di crescita e di internazionalizzazione delle aziende stesse.

 

Amalia Tata, responsabile dell’area Immigrazione e Tratta della Cooperativa Il Cammino, ha presentato la propria realtà associativa impegnata nell’inclusione socio-lavorativa delle donne vittime di tratta. Per Amalia Tata la dimensione “gruppale” è uno strumento essenziale per potenziare le capacità funzionali all’inserimento lavorativo delle beneficiarie. Così come appare non negoziabile la progettualità “co-costruita”, volta all’individuazione e all’emersione di competenze che le beneficiarie spesso già possiedono. Il bilancio di competenze può partire dalla ricostruzione del percorso migratorio, passare dall’identificazione di competenze individuali, arrivare alla creazione di una progettualità individuale e realistica, senza “false mete” o aspettative irrealizzabili. L’inserimento lavorativo per le beneficiarie ha spesso una funzione pedagogica; rappresenta per molte il primo vero contatto con la “realtà” circostante (al di là del contesto di violenza dal quale faticosamente si sono affrancate e devono continuare ad allontanarsi). La fiducia è alla base della narrazione… non l’inverso. L’esperienza ha dimostrato la necessità di una relazione (di un vero e proprio “patto”) di fiducia con l’operatore affinché le beneficiarie riescano a condividere la propria narrazione ed a elaborare i propri traumi.

Il livello di istruzione rappresenta un fattore fondamentale per l’inserimento socio-lavorativo. Senza un’adeguata competenza linguistica, l’inserimento lavorativo diventa impossibile. All’operatore non resta che motivare le beneficiarie attraverso la promozione e la condivisione dei principi di cittadinanza attiva in un’ottica multiculturale, dei diritti di cittadinanza e delle azioni possibili per “rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza dei cittadini”, auspicabilmente coadiuvato dalla figura del mediatore culturale.

É necessario sempre operare in un’ottica di genere, per identificare e affrontare gli “ostacoli culturali” all’inserimento socio-lavorativo nel paese d’accoglienza.

 

Amalia Ciorra, di Anpal Servizi, ha presentato le criticità di progetti pregressi, in particolare, con riferimento al progetto PUOI.

Rispondendo agli stimoli offerti dal PNRR (che individua nella riduzione delle diseguaglianze di genere, una delle tre priorità trasversali che interessano tutti gli assi strategici condivisi a livello europeo) è stata valutata l’incidenza degli interventi sulla popolazione femminile migrante.

Da un monitoraggio in itinere è emersa una percentuale molto bassa di donne migranti intercettate; trasversalmente in tutte le regioni le donne sono state coinvolte in misura nettamente inferiore rispetto agli uomini, nei percorsi di tirocinio formativo e nella attività di accompagnamento al lavoro.

In riferimento al tema di genere, Amalia ha specificato che i dati relativi al Progetto Inside confermano il trend sopraccitato. Dei 653 percorsi di tirocinio portati a termine, l’85,7% hanno avuto come beneficiari uomini migranti.

Il Progetto Inside era indirizzato a una popolazione adulta migrante (costituita da titolare di protezione internazionale) accolta nel sistema Sprar; beneficiari facilmente “individuabili”. Questo processo è stato reso più difficile dall’introduzione del Decreto Sicurezza (DL 113/2018). Si è proceduto quindi ad allargare la platea, includendo beneficiari non accolti nel circuito Sprar. Il confronto diventa in tal senso ancora più impietoso: di 2048 percorsi di integrazione, solo 48 percorsi hanno coinvolto donne, che corrisponde al 2,6%!

Il Parlamento Europeo, con la risoluzione del giugno 2021, ha ribadito che il principio della parità tra donne e uomini è “un valore fondamentale dell’Unione Europea” e che la prospettiva di genere dovrebbe essere attuata e integrata come principio orizzontale in tutte le attività, le misure, le azioni, i programmi dell’Unione, nonché i progetti e le politiche che essa finanzia. Nel febbraio 2021, sempre il Parlamento aveva invitato tutti gli Stati membri ad attuare e integrare la “prospettiva di genere” nei piani di resilienza e nelle programmazioni nazionali, avanzando loro una richiesta di “spiegazione del modo in cui le misure del piano per la ripresa e la resilienza dovrebbero contribuire alla parità di genere e alle pari opportunità per tutti, come pure all’integrazione di tali obiettivi, in linea con i principi 2 e 3 del pilastro europeo dei diritti sociali, nonché con l’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’ONU 5 e, ove pertinente, la strategia nazionale per la parità di genere” (Regolamento UE 2021/241 – art. 18, comma 4, lettera o).

Attraverso il Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza, sulla base di quanto previsto dal nostro PNRR, sono stati assegnati all’Italia 191,5 miliardi di euro, rispetto ai 672,5 di dotazione complessiva; il 10% di queste risorse sarà destinato al perseguimento dell’obiettivo strategico dell’eliminazione del divario di genere attraverso interventi diretti e trasversali.

La quinta delle sei missioni in cui si articola il PNRR, è denominata “Inclusione e Coesione” e tra le azioni volte a “facilitare” la partecipazione al mercato del lavoro (anche attraverso la formazione professionale e il rafforzamento dell’istruzione, previsti in particolare per l’inclusione differenziale delle donne), “rafforzare” le politiche attive del lavoro e “favorire” l’inclusione sociale, prevede anche la creazione di un “Fondo Impresa Donna” a favore dell’imprenditoria femminile.

Oltre alla formazione e al sostegno all’autoimprenditoria, il PNRR prevede anche l’adozione di un bilancio di genere e di un sistema di “certificazione della parità di genere”, attraverso il quale le imprese “virtuose” che assumono donne possono essere sgravate dal fisco in percentuali diverse, a seconda della tipologia.

All’interno del progetto PUOI si è cercato di inserire (su sollecitazione dell’Ue) un’azione di accompagnamento al sistema nazionale di certificazione delle competenze, maturate dai beneficiari durante i tirocini formativi, con successiva valutazione dell’efficacia del ricorso a tale strumento.

 

Romina Papetti, Responsabile Ufficio Promozione e Monitoraggio degli interventi, interviene ricostruendo l’identikit dei beneficiari delle azioni e dei servizi promossi da Roma Capitale. Non si tratta in generale di richiedenti asilo o rifugiati, ma di persone presenti in Italia da diversi anni e che hanno da tempo intrapreso un percorso di inclusione, pur trovandosi in una situazione di difficoltà sociale, economica o lavorativa. Per quanto riguarda le donne intercettate, sono prevalentemente titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari (ottenuto in seguito ad un ricongiungimento con il proprio coniuge).

Gli operatori dei Centri Orientamento al Lavoro (C.O.L.) di Roma Capitale, hanno ben chiaro il ruolo di career guidance delle donne migranti nei confronti dei propri figli: rappresentano l’asse nella costruzione del loro futuro, hanno un peso e un’influenza nettamente maggiore rispetto ai loro coniugi, sono decisive nella costruzione del loro processo di integrazione socioeconomica nel nostro paese.

Le donne straniere, tuttavia, mostrano forti difficoltà ad uscire dal proprio ruolo di madre, di “casalinga” e di caregiver familiare.

Gli operatori raccontano spesso quanto sia difficile coinvolgere le donne in attività di empowerment e di rafforzamento delle loro capacità e competenze; si tratta di “resistenze” che hanno una forte componente culturale e religiosa. Le azioni che non hanno un riscontro pragmatico immediato creano difficoltà, non vengono comprese, spesso non sono accettate. Immaginare un percorso di “presa di coscienza” dell’importanza di queste attività, risulta molto complesso.

Alle resistenze soggettive si sommano poi le difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di “lavoro”, nella carenza di servizi di supporto e sostegno all’accudimento dei figli, totalmente in carico alle donne.

Un ulteriore problema è rappresentato dalla “distanza” dei servizi dalle abitazioni (spesso situate in zone periferiche della città di Roma); molte donne migranti non hanno la facoltà o la libertà di muoversi in autonomia; realizzare dei servizi di prossimità, rappresenterebbe senza dubbio un primo importante passo per l’accesso ai servizi o a percorsi di formazione e di empowerment, per rendere immaginabili e attuabili, potenziali processi di emancipazione.

La conoscenza della lingua italiana infine (ma non ultima) consente di accedere al mondo lavorativo, ma soprattutto di avviare un proprio percorso di indipendenza. Sono molto richieste da parte delle donne migranti intercettate dagli interventi di Roma Capitale, le attività di tipo laboratoriale, brevi percorsi formativi con rilascio di attestati di “micro competenze di occupabilità”. I percorsi più ricercati sono nell’ambito della cura e assistenza alle persone anziane, della cucina e della sartoria.

 

Tania Masuri, del Programma Integra, ha specificato la necessità di superare l’idea dell’apertura all’altro intesa come moto unidirezionale dell’operatore verso il beneficiario. È necessario uno “sforzo di attivazione” da parte dell’utente; emblematico in tal senso il caso delle competenze linguistiche. In alcune situazioni particolari, tuttavia, è richiesto un impegno in più da parte dell’operatore, ad esempio nell’avvicinare le utenti a mestieri ritenuti tradizionalmente maschili. Quando si tratta di “ruoli di genere” l’attività di traduzione è indispensabile, non solo verso il soggetto straniero, ma anche verso il soggetto autoctono.

Il nodo gordiano da recidere tuttavia è legato al welfare a sostegno delle “famiglie”. Il difficile coinvolgimento delle donne nelle attività di inserimento socio-lavorativo dipende molto dal carico familiare che si trovano a supportare; in tutte le culture ad esse è delegata totalmente la cura dei figli, anche quando non sono genitrici single. L’inadeguatezza o l’assenza di welfare, limita enormemente l’efficacia dei percorsi di inclusione; gli stessi incentivi per le aziende in caso di assunzione di donne (previsti anche dalla Legge di Bilancio 2021) si scontrano con un dato di cruda realtà: l’impossibilità di conciliare impegni lavorativi e incombenze familiari. Ciò implica, di fatto, la mancata occupazione o un “impiego” limitato in settori scarsamente qualificanti, impendendo qualsiasi tipo di processo di autopromozione.

Preso atto che le donne debbano avere pari opportunità nell’accesso alla formazione e alla crescita professionale, anche in funzione del loro ruolo di educatrici nei confronti dei propri figli, questo cammino appare contraddittorio nel momento in cui le donne migranti rimangono “rinchiuse” in ruoli di scarsa specializzazione.

 

Paolo Failla, Progettista CFP ENGIM San Paolo – Fondazione ENGIM, nel chiarire alcuni punti discussi nei tavoli precedenti relativamente al Sistema di individuazione, validazione e certificazione delle competenze, ha affermato che è possibile individuare o riconoscere solo le competenze definite in maniera standard nei repertori regionali. La partecipazione a un percorso di formazione strutturato, riferito a uno dei profili (o a una o più competenze) del repertorio regionale, semplifica l’accesso alle procedure di validazione e certificazione, soprattutto se si conclude con un esame di verifica degli apprendimenti.

Per gli stranieri presenti in Italia, il riconoscimento delle competenze può risultare problematico. Il percorso (diverso per ogni regione) richiede un certo livello di autonomia, non solo linguistica, per poter sottoscrivere efficacemente il patto di servizio e portare a compimento l’articolato iter procedurale previsto.

Un ulteriore ostacolo è determinato dal “peso” economico del procedimento a carico del richiedente.

Un ente titolato dalla Regione, che ha nel suo organico operatori abilitati a garantire questo servizio, può disporre di erogarlo in maniera gratuita per l’utente. In mancanza di requisiti, l’ente dovrà rivolgersi ad operatori iscritti all’albo regionale, con ulteriore aggravio di costi a carico dell’utente finale.

La situazione è diversa qualora il “candidato” partecipi a un iter formale che, se concluso positivamente, avrà come esito il rilascio di una certificazione di competenze.

Allo stato attuale per quanto riguarda la Regione Lazio, a differenza di altri territori, la certificazione di competenze informali e non formali è riservata esclusivamente agli operatori che scelgono di iscriversi ai sopraccitati albi regionali di validatori e certificatori di competenze.

 

A conclusione del tavolo, Francesca Del Bello presidente del Municipio II di Roma Capitale, ha espresso la volontà e l’impegno concreto da parte delle istituzioni di costruire un percorso partecipato per l’integrazione dei soggetti più fragili, valorizzando il principio di sussidiarietà orizzontale quale elemento cardine della riforma del Terzo Settore.

 

Ringraziamo tutte e tutti per le preziose riflessioni emerse dal Tavolo: sono state una chiara condivisione delle Linee guida regionali per la sostenibilità del Progetto ESPoR che, nella stesura finale, saranno arricchite (nella loro interezza) dai feedback degli stakeholder intervenuti.

Massimo Pierini – Francesca Mastromattei – Bruna Kola – Paula Fernandez – Natasha Palazzo – Maria Grazia Meloni